Nella piazza Alberica ove dal secondo giorno dopo l'alluvione staziona la centrale operativa dei Vigili del Fuoco, da subito sono comparsi i cartelli "Effetto serra, effetto Bush" e "Ridurre le emissioni di CO2"; altri sono comparsi anche in vari punti della città . Effettivamente, questo impegno per le nazioni industrializzate a ridurre i danni atmosferici causati in oltre un secolo e mezzo di emissioni di gas di ogni genere nell'atmosfera, deve essere messo al primo punto nelle lotte sociali, se non vogliamo lasciare ai nostri figli un pianeta inabitabile. Ma a Carrara non soltanto l'eccezionalità dell'evento atmosferico ha causato i dissesti e la catastrofe, vediamone alcuni. L'escavazione selvaggia Le Apuane sono, come si è già comprovato in Versilia con l'alluvione del '96, per eccellenza, terra di rapina. Nell'estrarre i preziosi blocchi di marmo per l'edilizia e l'arte funeraria (questi due settori assorbono quasi per intero la produzione, il marmo utilizzato nell'arte più essere considerato un frammento), gli sfruttatori degli agri marmiferi non dedicano alcuna cura a sistemare scaglie e residui: essi sono allontanati dal piano di lavoro a mezzo di escavatrici (alcune proprio gigantesche) e semplicemente buttati ad ammucchiarsi sui pendii oltre il bordo del piazzale. Raramente, quando può servire per aprire un accesso ad un nuovo piano di cava, sono anche sommariamente schiacciati dal passaggio dapprima di qualche cingolato e poi da quello dei camion. In questo modo, facile gioco ha avuto la massa d'acqua a trasformarsi in valanga di micidiali proiettili sassosi in vertiginosa caduta verso valle. L'affare dei sassi A peggiorare la situazione vi è la rapina dei sassi. Fin da quando, nei primi anni '90, il grado di purezza del carbonato di calcio permesso nell'alimentazione è stato abbassato di qualche centesimo, facendo in questo modo rientrare nei limiti tutto il marmo delle Apuane, i ravaneti (cioè le cascate di pietre) sono divenuti oro bianco per i macinatori che ne fanno polveri da vendere su tutti i mercati. Così, depositi antichi di pietre, che si erano consolidati col passare dei secoli, la cui funzione era anche drenare le acque e favorirne l'assorbimento al suolo, sono stati rimossi lasciando soltanto del terriccio sulla nuda parete: una comoda pista di lancio per valanghe di fango. L'ingolfamento dei letti Ad un visitatore anche occasionale non può sfuggire il continuo avanzamento di piazzali di segherie, terrapieni per ospitare botteghe di souvenir e lavorazioni artigiane che giorno dopo giorno prendono piede nel letto dei torrenti. Esemplare il caso delle Canalie, ove i muraglioni in cemento armato per far posto ad una segheria raggiungono l'altezza di decine di metri onde ricavare un piano. Ovviamente tutte queste non sono altro che strozzature al normale decorso dell'acqua la quale, trovando occupato il suo naturale alveo, ad una pioggia anche solo un po' intensa, invade la strada per farne il proprio letto. E l'asfalto congiunto alla pendenza, ben si prestano ad accelerazioni. Perciò la valanga d'acqua, di sassi anche di grosse dimensioni e tanto fango, che man mano che si avvicinava alla zona pianeggiante ha trascinato con sé auto e cassonetti, divenendo tale da allagare botteghe, negozi e abitazioni. Nella via Carriona, ormai divenuto torrente sussidiario, ove le case si restringono a imbuto, tutti questi materiali si sono assestati come diga. La tombatura dei fossi Esemplare la situazione a Canal del Rio, nella parte a sud-est del centro cittadino. Qui non solo il fosso tombato ad ogni pioggia ricompare in superficie rigoglioso, ma in tempi recenti, dopo un'opposizione popolare durata decine di anni, la passata amministrazione ha finalmente deciso di concedere il permesso per la costruzione di un mini-grattacielo. Eppure proprio in quel periodo una pioggia un po' più intensa aveva per l'ennesima volta riaperto una voragine di 6 metri nella strada, proprio in prossimità di dove si stanno ora gettando le fondamenta per l'edificio. Le costruzioni dissennate Fra queste si possono senz'altro classificare gli edifici dell'Inps e dell'Inail, le cui basi di fondamenta sono state ricavate sbancando per decine di metri di profondità le basi della collina che sale alla Foce verso Massa. Da qui i torrenti stradali che si congiungono poco più a valle coi ribollimenti del Canal del Rio, sono costante sorgente di danni ad automobili, negozi e case sul piano stradale. Poco più giù a San Ceccardo, la palazzina della Cgil, anch'essa insediata togliendo alla collina sovrastante decine di metri di base di appoggio, è in permanente emergenza frane e alluvioni. Ora tutta la parete collinare è stata cementata, ma in questo modo il dilavamento diviene ancora più precipitoso. Si comprende dunque come nel viale che scende a Marina, verso le dieci di sera di martedì 23, innumerevoli fossero le auto che navigavano senza autista a bordo verso il mare o il primo negozio o il primo albero a disposizione, per schiantarvisi o dar luogo ad un principio di diga. Una catastrofe in parte evitata Circa 10-11 anni addietro, quando la Termomeccanica si trovava in particolari cattive acque, prima che la costruzione dell'inceneritore del Pollino (Pietrasanta) venisse a darle un po' d'ossigeno, alcuni brillanti amministratori locali l'avevano autorizzata a costruire in località Tarnone (sulla strada per Colonnata) una diga ove depositare i fanghi provenienti dalla lavorazione del marmo al piano. Sarebbero state migliaia di tonnellate di melma sospese sulla città , se il progetto fosse andato avanti, capaci di causare un "effetto Pompei" umido. Ma, in attesa dell'autorizzazione, un viavai di camion già scaricava clandestinamente dei carichi di notte, e ciò ha costituito la principale fonte di melma trasportata l'altra notte a valle. Fortunatamente la popolazione, costituitasi nell'apposito Comitato, riuscì a bloccare i camion e impedire l'esproprio dei terreni, tenendo duro per vari mesi, e lo scempio restò limitato. Oggi tutti dovrebbero esser grati a chi allora ha lottato, alcuni in più di un'occasione esponendosi in prima persona. Una prossima catastrofe annunciata A Gragnana il diluvio ha colpito più che altro il versante del monte verso Torano. Se altrettanto fosse avvenuto sul dorso delle colline che ostacolano al paese la vista del mare, la catastrofe sarebbe stata di proporzioni gigantesche, ma la fortuna o il caso non hanno voluto. In paese infatti da qualche anno vi è un piazzale parcheggio, da tutti salutato con favore perché ha risolto il problema di dove lasciare l'auto per gli abitanti. Però esso è costruito sul fosso, a ridosso di un monte molto ripido, con vegetazione di alberi anche piuttosto grossi, che colpito da un rovescio come quello precipitato sul versante opposto sicuramente non avrebbe resistito: gli alberi avrebbero tappato i tre tubi di un paio di metri lasciati alla base per lo scorrimento, e ne sarebbe nata una diga. Essendo il piazzale poggiato unicamente su terreno riportato, la forza dell'acqua a monte avrebbe agevolmente spazzato via tutto, compresa la gente accorsa a spostare l'auto. Uno scenario che possiamo facilmente prevedere, che chi scrive ha già denunciato sulla stampa locale, per porre rimedio al quale nulla è stato fatto. Speriamo che questo sia il momento buono per metterlo in sicurezza. La tipografia ove stampa U.N. Alcuni sostengono che si sia salvata dall'alluvione perché sotto la protezione di Michele Bakunin. Invece, molto più materialisticamente, dobbiamo il fatto di aver avuto più paura che danni ad una operazione speculativa avvenuta sulla sponda opposta. Il piazzale ove sono insediati il mercato coperto ed un supermercato, è stato negli scorsi anni scavato per far posto ad un parcheggio sotterraneo ed alcuni locali, fra cui una sala bingo. L'irruenza dell'acqua che poco più a monte congiunge il torrente di Gragnana col Carrione è stata dunque contenuta da questi sotterranei che hanno agito da polmone, evitando giusto giusto che il livello superasse l'argine di cemento dalla nostra parte. Surreale poi la visione di una ventina di sedie della sala bingo ammucchiate a galleggiare all'esterno, con ogni tanto un'altra sedia trascinata dalla corrente che si aggiungeva al numero. La solidarietà La popolazione non è stata con le mani in mano dopo l'evento. La notte stessa, appena calmata la pioggia, mentre ancora dal monte scendeva di tutto, sono cominciati i primi sopralluoghi ai piani terra ed a porre i primi ripari. Non appena il livello dell'acqua è sceso, prima che il fango si solidificasse, cittadini di ogni genere ed età hanno "dato una mano", formando catene con secchi, spalando, cercando di contenere i danni il più possibile. Naturalmente in vari casi è stato necessario l'intervento di mezzi pesanti per rimuovere le dighe di auto alberi e fango, ma ovunque è stato possibile, la gente ha dato prova di attiva solidarietà . Le attività stanno gradatamente riprendendo, per le cave sicuramente bisognerà attendere un po', ed è da augurarsi che la lezione sia servita ad un approccio in generale ove la rapina sia mitigata dalla necessaria messa in sicurezza di piazzali e ravaneti. Alfonso Nicolazzi Da "Umanità Nova" n. 31 del 5 ottobre 2003
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